Giulia di Michele
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Il sapore del tempo: i taralli

11/21/2017

2 Commenti

 
​Quando guardi qualcuno impastare nello stesso identico modo in cui lo fa tua nonna, improvvisamente diventi consapevole di essere tutti figli di una stessa terra.
Non ho compreso bene che significato avesse questa azione, fin quando non mi sono ritrovata a rifotografare questo momento.
Ne ho scoperto così la sua ancestralità: una ritualità nei gesti che fa parte di un patrimonio comune.
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Questo ho pensato guardando la nonna di Sara, Antonia, che porta lo stesso nome di mia madre e subito mette in chiaro, con fierezza, che non vuol essere chiamata con nessun diminutivo.
83 anni di saggezza e nonostante non senta più molto bene, afferra tutto ciò che le dico, è curiosissima: vuole sapere cosa studio, dove vivo, come mi trovo e se mangio ovviamente.
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​Vorrei arrivarci anche io ad 83 anni in questo modo: così sveglia, così attaccata ad ogni centimetro di vita. Antonia non ha più l’età per fare i taralli ma è così emozionata dalla giornata che ci aspetta, dal poter risentire l’odore dell’olio, del vino che la stanchezza sembra quasi abbandonarla.
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Antonia mi racconta che i suoi genitori avevano un forno, dove sfornavano quintali di taralli ogni giorno. Si ricorda che appena sposata, la mattina dopo il viaggio di nozze si alzò e disse al marito “bene io vado, i taralli mi aspettano.”
La luna di miele era finita, i taralli non potevano aspettare.
​Ormai sono molti anni che in casa i taralli non si fanno più, da quando il marito di Antonia è venuto a mancare. Era una presenza determinante che sento aver lasciato un gran vuoto in tutti loro.
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L’aria fuori è gelida, è Novembre ed è un momento perfetto per fare i taralli.
Ad impastare in realtà ci pensa Rosaria, la mamma di Sara sotto gli occhi attenti di Antonia che osserva, dà dritte, le basta solo sfiorare la pasta per capire se è pronta.
Quello di impastare non è un gesto delicato, richiede forza nelle mani e nelle braccia.
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​Quando nonna Antonia ci dà l'autorizzazione iniziamo a dare forma ai taralli, li chiudiamo con una chiave antica come era loro vecchia usanza. 
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​Mi stupisce la precisione dei gesti: decisi, come qualcosa che si ha nel sangue, che si fa da sempre, qualcosa che seppur quasi dimenticata, riemerge con la sua forza.
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​Chiacchieriamo e chiedo se posso realizzare anche io qualche tarallo, mi piace stabilire un contatto reale con quello che sto raccontando.
Tutt’ora a distanza di una settimana mi viene in mente la consistenza diversa di quella pasta, impregnata di olio e vino, il profumo che si era diffuso in tutta la cucina.
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La preparazione finale richiede attesa. I taralli devono asciugarsi.
​Pranziamo, chiacchieriamo, mi raccontano le storie della loro famiglia. E capisco che la fotografia mi ha fatto un gran dono: mettermi in contatto con gli altri.
Ho sempre vissuto distaccata da molte cose, come si dice... con la testa fra le nuvole.
E poi la fotografia mi ha rimesso a terra, tra le persone, nelle loro case, fra le loro storie, nei loro ricordi più profondi: a parlare e guardare dentro le loro vite.
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La fotografia da un lato e la tradizione dall'altra legate per qualche ora, per fare in modo che alcune cose non si perdano, per stringere il legame con il passato, per cucire i fili dei nostri cuori. 
Come mi ha detto Rosaria, se stai male, se sei arrabbiato con qualcuno puoi sfogarti con la pasta, odio e amore si uniscono. In un unico atto.
2 Commenti
Daniela
11/23/2017 09:15:31 am

Come sempre bravissima. Le immagini riportano a suoni, profumi, emozioni. Li ho preparati qualche settimana fa, una fatica immensa ma ogni tarallo era un sorriso e mi sono ritrovata, a fine giornata, davanti a mezzo chilo di sorrisi. Lì rifarò presto. Grazie Giulia!

Risposta
Giulia
11/24/2017 04:42:49 am

Grazie a te Daniela!

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